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Giganti della cooperazione

 

John Dewey (1859 – 1952)

“La scuola deve essere una palestra di democrazia”

Dewey è stato uno dei più grandi pedagogisti del ‘900 ed è riconosciuto come il padre dell’educazione progressiva. A lui va anche il merito di aver teorizzato per la prima volta la pedagogia come una scienza autonoma e sperimentale.

Nato a Baltimora nel Vermont si forma alla John Hopkins University, specializzatosi in studi psicologici, pedagogici e filosofici.

Nel 1984 inizia ad insegnare all’Università di Chicago creando parallelamente nella stessa città la Laboratory School, un progetto innovativo di scuola sperimentare che ospitava un centinaio di bambini e ragazzi dai 4 ai 13 anni.

La Scuola Laboratorio di Chicago è stato uno dei primi e più riusciti esempi di scuola nuova, in cui è stato utilizzato l’attivismo pedagogico e l’educazione progressiva.

Secondo questa concezione pedagogica il bambino e gli studenti in generale non devono essere dei soggetti passivi, ma devono partecipare attivamente ai processi di apprendimento tramite esperienze concrete di learning by doing.

Contrario ad una didattica meramente trasmissiva e lontana dalla vita, propone una didattica basata su numerose attività pratiche, prediligendo in particolare l’apprendimento in piccoli gruppi collaborativi.

Le esperienze non vengono però imposte dall’alto, al contrario partono da quelli che Dewey chiama gli impulsi naturali degli alunni. Questi sono raggruppabili in quattro categorie: l’istinto sociale, l’istinto indagatore, l’istinto operativo del fare e l’istinto artistico.

L’apprendimento non va quindi imperniato sulle sole nozioni, ma anche sulle attitudini o quelle che la ricerca pedagogica attuale definisce come competenze.

La Laboratory School è pensata e costruita come una grande laboratorio permanente, in cui con esperienze diversificate si contribuisce a promuovere quello che è e dovrebbe essere il vero mandato della scuola: la crescita dello studente e la sua educazione sociale.

Per Dewey la scuola deve essere soprattutto una palestra di democrazia, in cui non solo si trasmette cultura ma la si costruisce socialmente e attivamente.

Gli studenti non subiscono passivamente le nozioni ma sono costantemente attivi: pensando insieme, riflettendo, discutendo e svolgendo numerose attività di gruppo in cui apprendere concretamente valori democratici quali la responsabilità, la solidarietà, il rispetto e la collaborazione.

La scuola non deve limitarsi a preparare alla vita ma dev’essere vita stessa, cioè un’esperienza sociale, cooperativa ed attiva.

La pedagogia deweyana è inoltre una pedagogia puerocentrica, che a differenza dell’adultismo, non vede il bambino come un adulto incompleto, ma come un soggetto proprio.

Per questo Dewey riprende gli studi di psicologia evolutiva di Hall stabilendo diverse attività pedagogiche progressive da svolgere in ambito scolastico.

Il pensiero pedagogico, filosofico e sociale di Dewey è divenuto in breve famoso in tutto il mondo. Ancora oggi è estremamente attuale e grazie ai recenti studi sull’Apprendimento Cooperativo può finalmente trovare il giusto compimento.

 

Célestin Freinet (1896 – 1966)

“Non separate la scuola dalla vita”

Nato e vissuto in Francia è stato, non solo il fautore della pedagogia popolare, ma può essere a buon grado considerato uno dei più grandi pedagogisti cooperativi.

Fin dalle prime esperienze didattiche come maestro elementare ha introdotto la cooperazione nei processi di insegnamento e apprendimento.

Tuttavia il suo approccio rivoluzionario ed innovativo trovò ostilità e opposizione nella scuola pubblica.

Convinto del potenziale didattico, educativo e sociale della cooperazione non si perse d’animo e nel 1934 apre una sua scuola Vence, in Francia.

Qui realizza il suo approccio pedagogico basato sulla cooperazione educativa degli studenti.

A differenza degli altri autori della scuola attiva, Freinet propone degli strumenti didattico/educativi concreti e direttamente spendibili nel lavoro in classe.

Una prima grande innovazione è l’abolizione del libro di testo, considerato uno strumento di apprendimento passivo, limitante e poco naturale.

Per questo lo sostituisce con uno degli strumenti per lui più importanti: la tipografia scolastica.

Invece di apprendere dal libro in modo artificiale e asettico i suoi studenti apprendono insieme, svolgendo ricerche, facendo osservazioni sulla natura, utilizzando discussioni e altri stimoli da cui partire per costruire direttamente il proprio giornalino scolastico.

Questo giornale viene co-costruire collettivamente e diviene il prodotto culturale realizzato dalla classe.

Grazie alla tipografia scolastica i ragazzi, non solo costruiscono socialmente l’apprendimento, ma sviluppano in modo attivo e coinvolgente competenze quali leggere, scrivere, studiare, analizzare e sintetizzare.

Il giornalino di classe diviene così uno strumento cooperativo flessibile e utilizzabile per tutte le discipline, dalla storia alla geografia ma anche letteratura, scienze, così via.

Grazie alla corrispondenza interscolastica il giornale prodotto da una scuola viene condiviso con altre, fornendo ulteriori stimoli e spunti per l’apprendimento.

Freinet rifiuta i programmi didattici tradizionali che non tengono presente i desideri di conoscenza degli studenti e propone un metodo di apprendimento cooperativo coinvolgente e attivo che sfrutti gli interessi e le motivazioni degli studenti.

L’utilizzo della cooperazione non ha però solo incredibili vantaggi nell’apprendimento ma diventa un potente strumento educativo.

Collaborando insieme nella costruzione della conoscenza i ragazzi sperimentano concretamente e quotidianamente valori come l’accoglienza, la solidarietà, il rispetto dell’altro.

Il tutto all’interno di un ambiente di apprendimento cooperativo piacevole in cui gli studenti stanno bene e crescono insieme.

 

Jerome Bruner (1915)

“La mente crea la cultura, ma la cultura crea la mente”

Bruner è uno psicologo statunitense che ha dato un grande contributo alla psicologia cognitiva e alla psicologia dell’educazione, con importanti ricadute anche in ambito pedagogico.

Fin da subito si dedica agli studi di psicologia sociale e cognitiva, partendo dal lavori di Piaget e Vygotskij.

Sviluppa negli anni il suo approccio di psicologia culturale, secondo cui la nostra impostazione mentale viene formata dalla cultura in cui cresciamo.

Questo comporta che l’educazione e l’apprendimento scolastico debbano essere culturalmente contestualizzati.

Dato il continuo mutamento del contesto socio-culurale in cui viviamo bisogna offrire agli studenti la possibilità e gli strumenti per analizzare la realtà in cui vivono.

Per assolvere a questo compito culturale la scuola non può limitare alla sola trasmissione di informazioni ma deve promuovere lo sviluppo dell’intelligenza.

Si passa così da una didattica nozionistica ad una didattica costruzionista, in cui gli studenti costruiscono e attribuiscono significati a ciò che stanno apprendendo.

L’apprendimento va quindi co-costruito socialmente ed il modo migliore per farlo è utilizzare il lavoro in piccoli gruppi cooperativi in cui i ragazzi pensano insieme, discutono, si confrontano e risolvono problemi.

I vantaggi pedagogici sono innumerevoli.

Innanzitutto l’apprendimento da superficiale e meccanico diventa significativo e coinvolgente, perché gli studenti comprendo il senso di ciò che stanno apprendendo.

Bruner suggerisce anche di partire sempre dalle preconoscenze ed esperienze degli allievi, così che il singolo apprendimento scolastico diventi ancora più motivante e stimolante.

Da un punto di vista educativo e culturale si va così ad arricchire ed implementare la mappa cognitiva di bambini e ragazzi, che acquisiscono strumenti per comprendere la propria realtà.

Uno degli obiettivi della didattica è anche imparare ad imparare, una competenza fondamentale se si considera i repentini mutamenti socio-culturale della nostra società.

Grazie a questa competenza culturale si potenzia quindi, non solo l’intelligenza, ma anche l’autostima.

Gli studi di Bruner hanno portato un contributo importante non solo alla pedagogia ma anche alla psicologia cognitiva, sociale ed educativa.

 

Lev Semënovič Vygotskij (1896 – 1934)

“E’ dalla discussione che nasce il ragionamento”

E’ stato lo psicologo russo che ha maggiormente contribuito alla concezione storico-culturale dello sviluppo cognitivo, gettando anche le prime basi scientifiche dell’Apprendimento Cooperativo.
Per Vygotskij lo sviluppo cognitivo del bambino non avviene in modo individuale, ma grazie all’interazione sociale.
L’apprendimento avviene in due fasi: la prima è tipo sociale e avviene nell’interazioni con gli altri mentre la seconda è individuale.
Per meglio spiegare la sua teoria elabora il concetto di Zona di Sviluppo Prossimale, che chiama in causa proprio l’Apprendimento Cooperativo.
La Zona di Sviluppo Prossimale può essere definita come la distanza tra il livello attuale del bambino o del ragazzo ed il suo livello di sviluppo potenziale.
Il passaggio dallo stadio attuale a quello potenziale può però avvenire solo grazie ad una interazione sociale, in particolare con soggetti (adulti o pari) che abbiano un livello di competenza maggiore.
In ambito didattico ed educativo bisogna quindi proporre agli studenti dei compiti sfidanti leggermente più alti delle competenze possedute. In questo sono spinti a spostarsi dallo stadio attuale al loro potenziale di sviluppo e crescita.
Grazie all’aiuto dell’adulto(scaffolding) lo studente è in grado di svolgere quel compito che individualmente non era in grado di risolvere. Dopo questa interazione sociale (prima fase) sarà poi in grado di svolgerlo autonomamente ed individualmente (seconda fase).
L’Apprendimento Cooperativo si presta quindi perfettamente alla creazione di Zone multiple di Sviluppo Prossimale. I compagni che hanno un diverso livello di apprendimento fungono così da preziosa risorsa cognitiva. L’utilizzo di ruoli interdipendenti e con funzioni diversificate consente così un apprendimento migliore per tutti, perchè gli studenti del gruppo si fanno da leva e scaffolding reciproco, muovendosi insieme dal proprio stadio attuale a quello potenziale.
Le competenze acquisite prima socialmente diventeranno successivamente, patrimonio individuale del singolo studente, e come diceva Vygotskij: “Ciò che i bambini sanno fare oggi insieme, domani sapranno farlo da soli”.

 

Paulo Freire (1921 – 1997)

“Nessuno si educa da solo, gli uomini si educano insieme”

Freire è stato un pedagogista brasiliano divenuto famoso per il suo approccio: la pedagogia degli oppressi.
La sua riflessione pedagogica ed il suo impegno quotidiano si è rivolto ai lavoratori e alle persone che vivevano situazioni di disagio, marginalità e fragilità.
Dopo aver lavorato alcuni anni come insegnante nella scuola secondaria è stato poi nominato direttore del Dipartimento per l’Espansione Culturale dell’Università di Recife. Grazie al suo approccio pedagogico trecento braccianti e lavoratori di canna da zucchero riuscirono ad apprendere a leggere e a scrivere in 45 giorni.
Il governo brasiliano, colpito da questo risultato, attivò nel 1962 la creazione di migliaia di centri culturali finalizzati a combattere l’analfabetismo del paese.
Pochi anni dopo però un colpo di stato bloccò questo progetto su larga scala e Freire fu costretto a fuggire dal Brasile. In questo periodo scrisse il suo libro più famoso “La pedagogia degli oppressi”, che ottenne subito un positivo riscontro a livello internazionale.
Venne invitato ad insegnare in diverse università e partecipò come consulente a diversi progetti sociali ed educativi, per ritornare in Brasile solo nel 1979, dove si unì al Partito dei Lavoratori. Qui continuò la sua incessante opera di alfabetizzazione degli adulti, fino a diventare Segretario dell’Educazione per lo stato di Sao Paolo.
Nella sua pedagogia degli oppressi Freire ha sempre criticato fortemente quella che chiama educazione bancaria in cui l’insegnante, l’educatore o il genitore deposita arbitrariamente e dall’alto il proprio sapere nell’educando.
A questa impostazione monolitica propone invece un approccio di educazione nuova, in cui tramite il dialogo educatore ed educando crescono insieme.
In tutti gli ambiti quindi, scuola compresa, il processo educativo è visto come un processo di apprendimento reciproco, in cui non solo lo studente apprende dall’insegnante, ma anche l’insegnante stesso apprende dalla relazione educativa con i propri ragazzi.
Per Freire quindi non può esserci insegnamento senza apprendimento.
Per realizzare questo progetto pedagogico lo strumento elettivo ed imprescindibile è il dialogo. In classe l’insegnante non si limita a depositare il proprio sapere ma stimola gli studenti a riflettere e pensare insieme.
Si passa così dall’educazione depositaria, tipica delle impostazioni tradizionali, ad un’educazione problematizzante, capace di coscientizzare e liberare le persone da tutte le forme di oppressione.
La pedagogia critica di Freire si oppone quindi all’idea di educazione quale valore assoluto, che invece deve essere calato nelle specificità di ogni singolo contesto. La scuola e gli insegnanti devono abbandonare l’approccio asettico di studio della realtà, favorendo un’analisi problematizzante, inter e transdisciplinare capace di dialogare ed agganciarsi all’esperienza esistenziale degli studenti.
L’educazione non dev’essere quindi un processo di adeguamento passivo ma deve essere un’esperienza di coscientizzazione che liberi e faccia crescere l’intera persona.
E’ in questo modo che la pedagogia degli oppressi si concretizza come una pedagogia dell’autonomia e della speranza.