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CONTRO LA VIOLENZA: la pausa dei sentimenti
13 Dicembre 2020
Stefano Rossi ©
Com’è possibile che giunti nel terzo millennio la furia della violenza si abbatta su ancora così tante donne e bambini?
Perché stiamo perdendo questa sfida di civiltà?
Siamo nell’era degli algoritmi, dell’intelligenza artificiale e dei possibili viaggi su Marte eppure…
Eppure dopo la morte di una donna, dopo la violenza su un bambino la nostra unica risposto sono pochi secondi di indignazione.
E’ una questione di tempo.
Femminicidio, bullismo e sopraffazione continuano a segnare punti perché li vogliamo sconfiggere all’ultimo chilometro.
Non si diventa violenti a 40, 30 o 20 anni.
Il buio della violenza ha radici lontane che ci chiedono di investire in maniera decisiva e convinta sull’educazione del cuore.
Proviamo a fare una breve fenomenologia della violenza.
Gli occhi diventano fuoco…
Lo sguardo diventa feroce…
Il respiro si accorcia e un’ombra possiede quello che fino a pochi secondi prima era marito, padre, amico.
E’ l’ombra della violenza.
Una violenza che vuole possedere il corpo, l’anima e la libertà dell’altro.
Si tratta di una furia cieca,
non riconosce il volto della compagna, del figlio o del fratello.
E’ una furia sorda.
Sorda alla paura che genera.
Sorda agli occhi che le implorano di fermarsi.
Sorda al grido d’aiuto lanciato nella solitudine della notte.
Le sue parole sono schegge che si conficcano nel cuore, nel corpo e nello sguardo dell’altro.
Schegge che frantumano, umiliano e violentano la dignità di un compagno, di un figlio o di un fratello.
Quando la violenza ha questa forma siamo di fronte ad un buio quasi invincibile.
Doppiamo partire molto prima.
Proviamo una lettura con lintelligenza del cuore.
Prima di essere lucida follia la violenza è nebbia che imprigiona il cuore in un malessere che non riesce a trovare le parole per dirsi.
Dietro una mano violenta c’è sempre un cuore nella nebbia.
Un cuore che nell’impotenza di esprimere ciò che prova finisce per accecarsi nel folle desiderio di distruggere l’alterità dell’altro.
Se il mio cuore è attraversato da parole mancanti l’unico modo per esprimere il mio sentire è trasformare il mio corpo in arma omicida.
Lo vediamo nel bullismo, nel mobbing ma anche nella violenza su figli e compagne.
La pedagogia però, per essere degna di questo nome, non può limitarsi a bei discorsi, deve offrire strumenti educativi semplici ed efficaci.
Vi propongo allora un rito semplice da usare in classe (anche a casa).
L’ho chiamato “PAUSA DEI SENTIMENTI”.
In “Carezze d’empatia in classe” (2020 Pearson) ho inserito 80 CARD DEI SENTIMENTI.
80 card per quelle “parole mancanti” che giorno dopo giorno alimentano il mostro della violenza.
I vostri studenti, siano bambini o ragazzi più grandi, possono fare con voi una piccola pausa in cui poter dire: mi sento ispirato, grato, orgoglioso…ma anche triste, escluso, deluso…
Tante parole per imparare il linguaggio dei sentimenti.
Tante parole per avvolgere la classe con la coperta calda dell’empatia.
Ma sopratutto…
Tante parole per prevenire già in classe bullismo, aggressività e oppositività.
Tante parole per curare alla radice il buio della violenza.
Perché un cuore che sa dire ciò che prova non ha bisogno di travolgere l’alto come una furia cieca.
La partita contro la violenza non si può vincere all’ultimo chilometro.
La partita contro la violenza deve partire da lontano: dall’educazione affettiva compiuta ogni giorno: in classe e a casa.

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